Recensione: L'Arminuta di Donatella di Pietrantonio


Titolo: L'Arminuta
Autore: Donatella di Pietrantonio
Data di pubblicazione: 14 febbraio 2017
Genere: Narrativa
Editore: Einaudi
Pagine: 162




TRAMA


Per raccontare gli strappi della vita occorrono parole scabre, schiette. Di quelle parole Donatella Di Pietrantonio conosce il raro incanto. La sua scrittura ha un timbro unico, una grana spigolosa ma piena di luce, capace di governare con delicatezza una storia incandescente. È quello che accade con L’Arminuta fin dalla prima pagina, quando la protagonista, con una valigia in mano e una sacca di scarpe nell’altra, suona a una porta sconosciuta. Ad aprirle, sua sorella Adriana, gli occhi stropicciati, le trecce sfatte: non si sono mai viste prima. Inizia cosí questa storia dirompente e ammaliatrice: con una ragazzina che da un giorno all’altro perde tutto – una casa confortevole, le amiche piú care, l’affetto incondizionato dei genitori. O meglio, di quelli che credeva i suoi genitori. Per «l’Arminuta» (la ritornata), come la chiamano i compagni, comincia una nuova vita.


RECENSIONE


Nel tempo ho perso anche quell’idea confusa di normalità e oggi davvero ignoro che luogo sia una madre. Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza. È un vuoto persistente, che conosco ma non supero. Gira la testa a guardarci dentro. Un paesaggio desolato che di notte toglie il sonno e fabbrica incubi nel poco che lascia. La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure.

L’Arminuta ha tredici anni quando bussa alla porta della madre che non l’ha cresciuta fino a quel momento. Ad aprirle, sua sorella Adriana. Non ha mai visto neppure lei. Orfana di due genitori ancora vivi, l’Arminuta viene abbandonata sulla soglia di una casa che non diventerà mai casa sua. All’interno si trova la madre che l’ha affidata a sua cugina quando era in fasce, nella casa dove ha vissuto fino a quel momento si trova la madre che, dopo averla tenuta con sé tredici anni, la restituisce al mittente.

Spaesata, confusa, arrabbiata: l’Arminuta si sente priva dell’identità che fino a quel momento si era costruita. Una bella casa, la scuola, il nuoto e la danza, i bei vestiti… se non è più la ragazzina abituata a tutto questo, chi è adesso?

La sua unica ancora, nelle prime notti e negli anni a seguire, sua sorella Adriana. Sembra l’esatta antitesi della persona che è lei: sa fare le faccende domestiche, sa prendersi cura del fratellino, parla quasi solo in dialetto, i vestiti che indossa sono sempre troppo piccoli. Eppure da subito le offre il suo letto: una di testa e una di piedi, in modo da stare più comode.

Ogni sera mi prestava una pianta del piede da tenere sulla guancia. Non avevo altro, in quel buio popolato di fiati.

I mesi passano così, tra il doversi adattare a una povertà che non sapeva cosa fosse e i materassi sempre umidi a causa della pipì notturna di sua sorella.
Perché sua madre non torna? Quanto deve stare male per non riprenderla con sé?
Domande su domande lacerano la sua esistenza, allargando sempre di più gli strappi che neppure la verità riuscirà a ricucire del tutto.
Come può una ragazzina ancora bambina accettare di essere abbandonata? Non hanno senso i concetti di madre naturale e madre adottiva: lei una madre ce l’aveva e l’ha ceduta a un’altra donna, per la quale non prova alcun senso di connessione. Il sangue non garantisce l’attaccamento.

Ripetevo piano la parola mamma cento volte, finchè perdeva ogni senso ed era solo una ginnastica delle labbra. Restavo orfana di due madri viventi. Una mi aveva ceduta con il suo latte ancora sulla lingua, l’altra mi aveva restituita a tredici anni. Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze. Non sapevo più da chi provenivo. In fondo non lo so neanche adesso.

Sentire di appartenere a un luogo, avere una figura di riferimento sono i due aspetti fondanti che della vita psichica – e di conseguenza relazionale – di ognuno di noi. Tutte le mancanze vissute nell’infanzia si trascinano negli anni a seguire, diventando voragini che via via si ingrandiscono, mulinelli mai sazi nonostante si cerchi di riempirli in ogni modo. La voragine dentro di lei, l’Arminuta, non si colmerà mai del tutto. 

Io non conoscevo nessuna fame e abitavo come una straniera tra gli affamati. Il privilegio che portavo dalla vita precedente mi distingueva, mi isolava nella famiglia. Ero l’Arminuta, la ritornata. Parlavo un’altra lingua e non sapevo più a chi appartenere. Invidiavo le compagne di scuola del paese e persino Adriana, per la certezza delle loro madri.

Non si colmerà neppure quando le si presenta l’occasione di tornare in città, alla fine delle scuole medie. Anche lì, il suo unico pensiero è parlare di nuovo con sua madre, chiederle perché non l’ha più voluta con sé e comprendere a fondo il senso di inadeguatezza che la accompagna. 
Da un lato spera quasi che sia in fin di vita, così gli svenimenti e il suo stare a letto negli ultimi tempi prima che la abbandonasse avrebbero un senso: "ti ho mandata via per non ferirti, figlia mia. Ti amo ancora, ma ho una malattia gravissima e non volevo che tu mi vedessi deperire.
Lo spera l’Arminuta, ma non sempre la vita ci offre la spiegazione che agogniamo.

L’Arminuta è un capolavoro della letteratura dei nostri giorni. Maternità, sacrificio, identità, dolore, disperazione, adattamento sono i temi che fanno da padrone alla storia di questa ragazza che non sa chi è. A noi lettori, questa incertezza circa il suo io più profondo viene fatta arrivare tramite l’omissione del suo nome di battesimo, che non conosceremo mai. 

Siamo di fronte a un romanzo molto breve se consideriamo il tema trattato, eppure la scrittura viscerale di Donatella di Pietrantonio consente di entrare subito nel vivo della storia. Già dalle prime righe, chi legge è lì, sull’uscio di una porta sconosciuta insieme all’Arminuta, che significa ritornata anche se lei sta ritornando a una realtà di cui non ha alcun ricordo. E con lei proviamo tutto il dolore che un bambino non dovrebbe mai sperimentare: la perdita della propria mamma.  

A PROPOSITO DELL'AUTRICE:
Donatella Di Pietrantonio vive a Penne, in Abruzzo, dove esercita la professione di dentista pediatrico. Ha esordito con il romanzo Mia madre è un fiume (Elliot 2011, Premio Tropea). Per Einaudi ha pubblicato L'Arminuta (2017 e 2019), vincitore del Premio Campiello 2017 e Bella mia, con cui ha partecipato al Premio Strega 2014 e ha vinto il Premio Brancati e il Premio Vittoriano Esposito Città di Celano.




Commenti