Recensione: Le assaggiatrici di Rosella Postorino


Titolo: Le assaggiatrici
Autore: Rosella Postorino
Data di pubblicazione: 11 gennaio 2018
Genere: Narrativa 
Editore: Feltrinelli
Pagine: 255


TRAMA

La prima volta in cui Rosa Sauer entra nella stanza in cui dovrà consumare i suoi prossimi pasti è affamata. “Da anni avevamo fame e paura,” dice. Siamo nell’autunno del 1943, a Gross-Partsch, un villaggio molto vicino alla Tana del Lupo, il nascondiglio di Hitler. Ha ventisei anni, Rosa, ed è arrivata da Berlino una settimana prima, ospite dei genitori di suo marito Gregor, che combatte sul fronte russo. Le SS posano sotto ai suoi occhi un piatto squisito: “mangiate” dicono, e la fame ha la meglio sulla paura, la paura stessa diventa fame. Dopo aver terminato il pasto, però, lei e le altre assaggiatrici devono restare per un’ora sotto osservazione in caserma, cavie di cui le ss studiano le reazioni per accertarsi che il cibo da servire a Hitler non sia avvelenato.
Nell’ambiente chiuso di quella mensa forzata, sotto lo sguardo vigile dei loro carcerieri, fra le dieci giovani donne si allacciano, con lo scorrere dei mesi, alleanze, patti segreti e amicizie. Nel gruppo Rosa è subito la straniera, la “berlinese”: è difficile ottenere benevolenza, tuttavia lei si sorprende a cercarla, ad averne bisogno. Soprattutto con Elfriede, la ragazza più misteriosa e ostile, la più carismatica.
Poi, nella primavera del ’44, in caserma arriva un nuovo comandante, Albert Ziegler. Severo e ingiusto, instaura sin dal primo giorno un clima di terrore, eppure – mentre su tutti, come una sorta di divinità che non compare mai, incombe il Führer – fra lui e Rosa si crea un legame speciale, inaudito.
Con una rara capacità di dare conto dell’ambiguità dell’animo umano, Rosella Postorino, ispirandosi alla storia vera di Margot Wölk (assaggiatrice di Hitler nella caserma di Krausendorf), racconta la vicenda eccezionale di una donna in trappola, fragile di fronte alla violenza della Storia, forte dei desideri della giovinezza. Proprio come lei, i lettori si trovano in bilico sul crinale della collusione con il Male, della colpa accidentale, protratta per l’istinto antieroico di sopravvivere. Di sentirsi, nonostante tutto, ancora vivi.


RECENSIONE


Non sapevo niente di Stalin, o dell’Unione Sovietica, se non quel che mi aveva detto Gregor: il paradiso bolscevico era un ammasso di baracche abitate da straccioni. La mia rabbia verso Hitler era personale. Lui mi aveva portato via il marito, e per lui rischiavo ogni giorno di morire. Che la mia esistenza fosse nelle sue mani, questo detestavo. Hitler mi nutriva, e quel nutrimento poteva uccidermi. Ma in fondo dare la vita è sempre condannare alla morte, diceva Gregor. Davanti al creato, Dio contempla lo sterminio.

Cosa faresti se la mano che non ti fa patire la fame è anche quella che a ogni pasto potrebbe ucciderti?

È questa la domanda che mi sono posta lungo tutto il maestoso romanzo Le Assaggiatrici di Rosella Postorino, vincitore del Premio Campiello 2018.

Rosa Sauer vive a Berlino, è una segretaria e si innamora dell’uomo per cui lavora. I due si sposano, ma è un matrimonio che ha appena il tempo di sbocciare prima di essere bruscamente interrotto.

“Volevi sapere che odore ho nel sonno?” mi aveva sorriso. Gli avevo spinto uno poi due poi tre dita in bocca, avevo sentito la bocca allargarsi, la saliva bagnarmi. Questo era l’amore: una bocca che non morde. O la possibilità di azzannare a tradimento, come un cane che si ribella al padrone.

Perché Rosa e Gregor vivono nella Germania nazista dei primi anni ’40, quando i deliri e le follie del regime erano ancora condivisi da molti e per i quali ci si adeguava o si moriva.

Quando Gregor è costretto a recarsi al fronte russo per servire una nazione che sta decimando anche i suoi giovani, Rosa si trasferisce a Gross-Partsch, il villaggio dove i suoi suoceri la accoglieranno in attesa del ritorno dell’amato figlio. Ma come nella più classica delle fiabe, vicino al villaggio risiede il Lupo Cattivo, che si nasconde nella sua tana super segreta, avvolta dal fitto di alberi di una foresta. In quel quartier generale conosciuto e accessibile a pochi eletti si rifugia Hitler, presenza oscura che aleggia su tutto il romanzo senza mai palesarsi di persona.

Quando un giorno un manipolo di SS interrompe la ormai consolidata routine campagnola di Rosa, la ragazza scopre di non poter più sottrarsi al suo dovere di tedesca. Deve servire la patria, come tutti. E lei lo farà diventando un’assaggiatrice di Hitler: assieme ad altre otto donne, ogni giorno il suo compito sarà quello di mangiare le pietanze a colazione, pranzo e cena prima che vengano offerte al Führer. L’obiettivo è scongiurare il rischio che lui venga avvelenato, e quindi morire al posto suo qualora il boccone che sfama le donne sia letale. Diventano questo le giornate, le settimane e i mesi di Rosa, Elfriede, Heike, Leni e le altre: la grottesca concretizzazione del famoso detto “quando si mangia si combatte con la morte”.

Eppure anche il ritrovo della mensa forzata e la sensazione quasi indecente del cibo che viene deglutito e si insinua nel proprio corpo non impedisce la creazione di legami umani tra le commensali. Ci sono le Invasate, che se ne stanno per i fatti loro e sono totalmente dedite al loro compito; c’è Elfriede, austera e imperturbabile, che osserva in silenzio le altre; Leni, giovane e preda continua delle sue stesse emozioni; ci sono Beate, Augustine, Heike, Ulla; e infine c’è Rosa, la berlinese, colei che viene guardata con invidia, biasimo o diffidenza per via della sua provenienza cittadina, dei suoi vestiti, dei tacchi alti di cui non riesce a fare a meno.

Le SS che le sorvegliano sono quasi uno sfondo che cercano di dimenticare, fatto di uomini che le prelevano al mattino e le riportano a casa la sera, le accompagnano in bagno e le zittiscono se non sia mai sfugge loro una risata. Tutto questo si interrompe però all’improvviso con l’arrivo del tenente Ziegler, che instaura da subito un clima di terrore e chiarisce che tutto e tutti sono sacrificabili davanti all’obiettivo di un leader che ha saputo sfruttare a suo vantaggio l’insofferenza di un popolo ormai allo stremo.

 A noi tedeschi servono uomini di carattere e senza paura e che rispettino la morte. Cioè uomini che se la lascino infliggere senza fiatare.

Questo libro è un capolavoro della letteratura contemporanea. Rosella Postorino ha usato una scrittura brutalmente vera, condita di desideri e pulsioni che non cessano di dominare le persone neppure davanti all’orrore, dando vita a una storia che accoltella le convinzioni e ridimensiona i pregiudizi.

Qual è la canzoncina che vi cantavano la sera prima di mettervi a letto? E se non è capitato a voi direttamente, chi non conosce la storia dell’uomo nero che tiene un anno intero i bambini che non fanno i buoni? 
Nel romanzo, l’autrice ricorda che anche nella Germania nazista esistevano metodi per scongiurare i capricci: “Se non ti comporti bene, ti spedisco a Dachau, promettevano i genitori. Dachau al posto dell’uomo nero; Dachau, il posto dell’uomo nero”.

L’aspetto più brutale del romanzo è la cupa consapevolezza di quanto gli uomini si adeguino al periodo storico che vivono; di quanto giusto e sbagliato mutino col mutare della fame, del freddo e della paura; di quanto si è disposti ad accettare pur di assecondare quell’istinto di sopravvivenza che caratterizza tutte le specie viventi. Le assaggiatrici non è un romanzo che vi consiglio: è un romanzo che dovete leggere.


A PROPOSITO DELL'AUTORE:
Rosella Postorino (Reggio Calabria, 1978) è cresciuta in provincia di Imperia, vive e lavora a Roma. Ha esordito con il racconto In una capsula, incluso nell'antologia Ragazze che dovresti conoscere (Einaudi Stile Libero, 2004). Ha pubblicato i romanzi La stanza di sopra (Neri Pozza, 2007; Feltrinelli, 2018; Premio Rapallo Carige Opera Prima), L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne), la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009), Il mare in salita (Laterza, 2011) ed è fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015).
Con Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018), romanzo tradotto in oltre 30 lingue, ha vinto il Premio Campiello 2018 e diversi altri prestigiosi premi letterari, quali il Premio Rapallo, il Premio Chianti, il Premio Lucio Mastronardi Città di Vigevano, il Premio Pozzale Luigi Russo, il Premio Wondy e, per l’edizione francese del romanzo (La Goûteuse d’Hitler, ed. Albin Michel) il Prix Jean Monnet. Da questo romanzo verrà tratto un film, per la regia di Cristina Comencini.




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