Recensione: La fabbrica delle bambole di Elizabeth Macneal


Titolo: La fabbrica delle bambole
Autore: Elizabeth Macneal
Titolo originale: The doll factory
Traduzione: Giovanna Scocchera
Data di pubblicazione: 8 ottobre 2019
Genere: Narrativa storica
Editore: Einaudi
Pagine: 400


TRAMA

Giorno dopo giorno Iris Whittle siede nell’umido emporio di bambole di Mrs Salter e, china sui visi di porcellana in lavorazione, dipinge schiere di boccucce e occhietti tutti uguali. Ma la notte esce di soppiatto dal letto, scende in cantina, tira fuori colori e pennelli e riversa sulla carta la sua passione per la pittura. La tecnica è primitiva, certo, la famiglia e la società contrarie, e perfino la sua gemella Rose, un tempo sua complice ma ora esacerbata da un male che l’ha deturpata per sempre, le è ostile. E c’è quel leggero difetto della spalla a consigliarle di cercarsi un buon marito e accontentarsi di quel che ha.

Ma lo spirito di Iris è indomito, la sua vocazione prepotente e, quanto alla presenza femminile nell’arte pittorica, non esiste forse il precedente di Lizzie Siddal, pittrice oltre che modella di John Everett Millais e Dante Gabriel Rossetti, esponenti di quella cosiddetta «Confraternita dei Preraffaelliti» che fa tanto parlare di sé? Quando Louis Frost, un altro membro della stessa cerchia, le chiede di posare per lui, Iris, in spregio a ogni convenzione del decoro vittoriano, accetta, ma solo in cambio di lezioni private di pittura.

Per lei si aprono nuovi orizzonti: la libertà per sé e quelli che ama, da sua sorella Rose al generoso monello di strada Albie, l’arte, l’amore, molti incontri importanti, alcuni insospettati. Passeggiando in quella tumultuosa fucina di novità che è il cantiere per la Grande Esposizione di Hyde Park, la sua figura singolare cattura lo sguardo di un passante fra i molti. È Silas Reed, tassidermista di poco conto e grande ambizione, con un morboso attaccamento per le cose morte e una curiosa predilezione per ciò che è imperfetto.

Silas, Iris, Louis, il monello Albie, le prostitute del bordello, i clienti della taverna, i pittori preraffaelliti danno vita a un romanzo storico vividissimo e carico di tensione che appassionerà i lettori di Jessie Burton e Sarah Perry.


RECENSIONE


Nel bel mezzo dell’età vittoriana, Elizabeth Macneal parte da un evento realmente accaduto – la Grande Esposizione di Londra del 1851 – per dar vita a un romanzo a più voci carico di amore, ossessione e arte.

Leggendo la trama, non ero minimamente preparata alla storia che mi sarei trovata davanti. Complici la meravigliosa cover e il periodo storico che fa da sfondo al romanzo, mi sono tuffata tra le pagine credendo di leggervi una storia dove l’inquietudine non avrebbe trovato posto.

La fabbrica delle bambole si è invece rivelato molto di più. Sin dalla prima pagina, la scrittura ammaliante di Elizabeth Macneal e la traduzione magistrale di Giovanna Scocchera avviluppano il lettore trasportandolo indietro nel tempo, nella realtà di una Londra colma di gente povera, costretta a mendicare per arrivare al giorno successivo. Le strade, il grigiore, gli odori, le carrozze, i palazzi, il cibo… tutto contribuisce a dare la vivida sensazione di trovarsi davvero in un’altra epoca, e già questo fornisce la misura della magnifica capacità descrittiva di quest’autrice al suo esordio.

In una Londra che sa essere tanto impietosa quanto ricca di possibilità, sono molte le vite che si intrecciano: a venire messe in risalto sono però le vicende di Iris, Albie e Silas.

Iris è una giovane donna costretta a lavorare in un angusto laboratorio che fabbrica bambole di ceramica assieme alla sua gemella Rose, rimasta sfigurata dopo una brutta malattia. Prima di quel momento sua sorella era la favorita tra le due, colei che era già avviata verso il matrimonio e una felicità tanto agognata. Iris è sempre rimasta nelle retrovie, complice un difetto congenito alla clavicola che, col tempo, ne ha modificato anche l’andatura. Ora sono entrambe vittime di una signora dispotica e amareggiata dalla vita, che le costringe a trascorrere intere giornate chine su visini da dipingere e corpicini da vestire. Tuttavia se Rose sembra ormai rassegnata a questo destino, Iris cova dentro di sé il desiderio rovente di dedicarsi a una passione che sembra esclusivo appannaggio degli uomini: la pittura.
Così non le resta altro che comprare coi pochi soldi che non deve inviare ai genitori carta e colori, coi quali perdersi di notte in un mondo che non comprenda le anguste mura dove trascorre le sue giornate.
Un incontro fortuito e una proposta inaspettata le spalancheranno le porte della Confraternita dei Preraffaeliti, una cerchia di pittori alla ricerca di una linea che li renda degni di essere ricordati nel mondo dell’arte. È Louis Frost, alla ricerca di una nuova musa, a chiederle di posare per lui dietro lauto compenso: se accettasse potrebbe abbandonare per sempre il laboratorio e afferrare a piene mani un futuro migliore per sé, sua sorella e il piccolo Albie.

Albie è un monello di strada, il cui sogno più grande è quello di togliere sua sorella dalla strada della prostituzione e risparmiare abbastanza da concedersi una dentiera d’avorio. Il piccolo Albie infatti non ha denti, perché dopo la caduta di quelli da latte gli altri si sono ostinati a non farsi vedere. Per tirare avanti commette piccole commissioni, come cucire vestitini per le bambole di Iris o catturare creature morte da portare allo strano Silas.

Silas è un tassidermista che prepara e conserva i corpi degli animali ai fini della vendita privata, ma convinto che il suo dono debba essere riconosciuto da tutto il mondo. La Grande Esposizione è per lui l’occasione giusta per mostrare la sua capacità di rendere immortale ciò che cura e maneggia con dedizione.
Ma Silas ha una caratteristica particolare: l’ossessione per ciò che è unico. Ciò che agli occhi degli altri può apparire come un difetto, per lui è fonte di enorme interesse, che sfocia in un’attenzione morbosa.
E quando Albie, innocentemente, un giorno gli presenta Iris, Silas non può fare a meno di notare quella clavicola che sporge in maniera così allettante dal vestito della ragazza.

- Perché lo fate? – gli chiede.
- Fare che cosa?
- Collezionare… ammazzare queste creature, privarle della loro vita?
Silas scuote il capo. Lei non capisce. Lui non mette fine alla loro vita, ma ne preserva la memoria, facendone dei simulacri che resisteranno al tempo, conciando pelli che si sarebbero altrimenti ingrigite e putrefatte in strada. E soprattutto, per lui hanno un significato. Perché tutto deve servire a qualcosa, avere una funzione precisa, in quest’epoca moderna? Non può bastare la gioia?

La fabbrica delle bambole rientra a tutti gli effetti tra le mie migliori letture del 2020.
Credo quindi sia ovvio il mio consiglio: non fatevelo scappare!


A PROPOSITO DELL'AUTRICE:
Elizabeth Macneal è nata a Edimburgo e vive a Londra. È scrittrice e ceramista. Ha studiato Letteratura inglese alla Oxford University e si è specializzata alla University of East Anglia. La fabbrica delle bambole, il suo romanzo d'esordio, ha vinto il Caledonia Novel Award 2018, è stato inserito nella top ten del "Sunday Times" ed è stato venduto in trenta paesi.




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