È Da Lì Che Viene La Luce di Emanuela E. Abbadessa


Titolo: È Da Lì Che Viene La Luce
Autore: Emanuela E. Abbadessa
Data di pubblicazione: 26 febbraio 2019
Genere: Narrativa
Editore: Piemme
Pagine: 313


TRAMA

Un giorno qualcuno avrebbe favoleggiato di pianeti sconosciuti in cui società militari avrebbero eliminato gli imperfetti per creare generazioni invincibili. Ma quella sarebbe stata soltanto finzione letteraria, perché nella realtà era proprio il difetto a creare la bellezza.
Taormina, 1932. «Fermo», quell'unica parola, pronunciata con decisione, attrae l'attenzione di Sebastiano Caruso, un ragazzo di diciassette anni, orfano di padre, la cui vita quel giorno cambia per sempre. L'uomo che ha parlato, il barone Ludwig von Trier, alto e sottile, pallido e vestito in modo impeccabile, è così diverso da chiunque viva a Taormina, che la curiosità di Sebastiano si accende, soprattutto per via della scatola misteriosa che lo sconosciuto tiene tra le mani. Quando il barone, fotografo e artista, lo scopre nell'atto di seguirlo, lo fa entrare in un mondo di cui Sebastiano non sospettava neppure l'esistenza. Grazie al ragazzo, che gli fa da aiutante e da modello, e a Elena Amato, governante premurosa, donna dotata di un'antica saggezza e di un passato misterioso, amica e sodale, Trier impara qualcosa sull'amore che nessuno gli aveva mai insegnato nella fredda casa in cui era stato cresciuto e da cui se ne era andato. Ma «dove c'è luce, c'è anche ombra» dice spesso Trier e, insieme alla luce che fa risplendere la bellezza, il barone sperimenterà anche l'ombra più cupa, la violenza fascista e il serpeggiare delle discriminazioni. E rischierà di esserne inghiottito.
Un romanzo liberamente ispirato alla storia del fotografo tedesco Wilhelm von Glöden, sulla libertà, di pensiero e costume, che solo nell'arte non conosce odio per il diverso, e sulla paura di svelare la violenta ignoranza che si annida nei meandri più bui dell'animo umano.

Prosegue la rubrica dedicata ai libri che mi sono rimasti nel cuore: questa volta è il turno del nuovo romanzo di Emanuela E. Abbadessa, uscito per Piemme lo scorso febbraio. È Da Lì Che Viene La Luce è una storia ricca di innocenza e di bellezza, purtroppo insudiciate da una Taormina assoggettata agli anni più bui del fascismo. Di seguito, i tre motivi per cui dovreste leggere la storia di Ludwig, Elena, Sebastiano e Agata.



1. «Forse era proprio per questo che aveva colpito la gente: l'idea che esistesse un uomo in grado di fornire soluzioni semplici a problemi complessi e, attraverso quelle, fosse il solo a poter dare ordine, disciplina e potenza alla nazione. Al fondo, nessuno desiderava pensare di essere responsabile della propria vita, era molto più comodo demandare il potere e, nello stesso modo, affibbiare ad altri la causa dei propri fallimenti.» 

Serve aggiungere altro? Trovo che Emanuela E. Abbadessa abbia fornito, in poche righe, l'essenza dei motivi che permisero a Mussolini di esercitare il proprio carisma ai danni di un'intera nazione. Questo è il primo aspetto che ha reso il romanzo indimenticabile: la storia è stata perfettamente calata all'interno di un periodo storico buio per l'Italia, ma l'autrice è riuscita nell'intento di bilanciare il peso della disperazione con quello dell'amore, dell'arte, della bellezza che governa il mondo. Anche quando un regime politico tenta in tutti i modi di sopprimere ciò che rende la vita degna di questo nome.

2. «Nell'indignazione morale, si disse il barone, posando la tazza con la tisana sul piattino, c'era sempre anche la paura di somigliare ai diversi.»

Il secondo motivo che rende questo romanzo imperdibile è lui, il protagonista indiscusso, colui che su di sè calamita la storia e le attenzioni di tutti i personaggi che gli ruotano attorno: il barone Ludwig von Trier. Anticonformista, amante del bello e dell'arte, fotografo appassionato, padrone sui generis e amatissimo dai suoi sottoposti. Eppure anche un uomo, schiacciato da un sentimento che non ha mai voluto ammettere con se stesso e dal timore che esprimerlo potesse appiccicargli addosso l'etichetta di mostro, di innaturale, di abominio. Ma quanto è relativo il concetto di diverso? Rispetto a cosa, rispetto a chi si è diversi? E per quale motivo questo aspetto dovrebbe indicare l'essere in torto rispetto agli altri? Proviamo ad analizzare questo concetto da entrambi i punti di vista: se io sono diverso rispetto a un altro, l'altro è diverso rispetto a me. Per quale motivo uno dei due è nel giusto, mentre l'altro deve adeguarsi a un uso, un costume, una concezione che non sono i propri?
È da lì che viene la luce: dalla bellezza che gli esseri umani sono in grado di esprimere attraverso le forme che si elevano al di sopra delle differenze di genere, pensiero, religione, cultura; la luce si insinua grazie all'arte, che nel romanzo ha fatto sì che un ragazzo di 17 anni di nome Sebastiano sia riuscito a cogliere solo la purezza e l'innocenza del fare da modello a un altro uomo, proprio negli anni in cui essere veri uomini si associava all'essere meno umani.

3. «Con il pollice sul dorso cominciò a circoscrivere brevi cerchi, sentì il calore ruvido della sua pelle, la fissò e la vide per la prima volta attraverso gli occhi dell'altro. Seppe allora che il vero amore amava le persone amate da chi si ama. E aveva più potere dell'odio che, invece, per esistere doveva essere provato in prima persona. L'amore no, quello godeva del piacere altrui e, se era vero, non voleva legare a sè, piuttosto lasciava liberi. Perchè quando si amava veramente, la sola cosa importante era la felicità della persona amata anche se di quella gioia non si sarebbe mai fatto parte.»

Il terzo motivo, quello supremo: Eleonora E. Abbadessa ci insegna il perdono. Ci insegna che l'amore eleva dalle brutture e dai rancori e riesce a andare oltre la devastazione, traendo coraggio e forza da se stesso. L'amore serve all'amore.  

Mi sono innamorata della prosa di questa autrice, quindi sappiate che vi parlerò a breve anche dei suoi altri due romanzi, Capo Scirocco e Fiammetta, editi da Rizzoli.

In È da lì che viene la luce ho trovato tutti gli elementi che mi fanno sospirare, meravigliare, piangere e riflettere quando leggo un romanzo: attraverso una coralità di punti di vista e sentimenti, ho fatto mia la storia di un uomo, Ludwig, nobile in un'epoca in cui la sua nobiltà d'animo veniva soppiantata, dai più, da quella materiale; ho fatto mia la storia di una donna, Elena, che ha perso l'amore quando era giovanissima per ritrovarlo anni dopo, ormai adulta, sotto forma di ammirazione e conforto, di confronto alla pari e attrazione interiore; ho fatto mia la storia di un ragazzo che si affaccia alla vita, Sebastiano, che senza mezzi e in un clima retrogrado e oppressivo della libertà di espressione ha  fatto suo l'amore di un uomo come fosse quello del padre che non aveva più. E proprio quest'uomo ha fatto in modo che la purezza di questa convinzione non venisse infangata dall'ignoranza dei più; ho fatto infine mia la storia di Agata, una ragazza orfana e costretta a diventare mamma dei suoi fratelli troppo presto, che quando si è vista sfuggire dalle mani la possibilità di avere una vita distante dalla miseria ha commesso un errore gravissimo, le cui conseguenze le si sono palesate quando era ormai troppo tardi.

Se ancora non avete letto questo romanzo, rimediate. Non ve ne pentirete mai.


A PROPOSITO DELL'AUTRICE:
Scrittrice e saggista, ha al suo attivo due romanzi: Capo Scirocco (Rizzoli, 2013, Premio Rapallo-Carige 2013 per la Donna Scrittrice, Premio Letterario Internazionale Isola d'Elba Raffaello Brignetti) e Fiammetta (Rizzoli, 2016). Scrive per i quotidiani la Repubblica e Il Secolo XIX.

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