Tre Serbi, Due Musulmani, Un Lupo di Luca Leone e Daniele Zanon


Titolo: Tre Serbi, Due Musulmani, Un Lupo
Autore: Luca Leone - Daniele Zanon
Data di pubblicazione: 7 marzo 2019
Genere: Narrativa 
Editore: Infinito Edizioni

TRAMA

A Prijedor, in Bosnia Erzegovina, in quella che oggi si chiama Repubblica serba di Bosnia (Rs), nella primavera-estate del 1992 succedono cose spaventose. Sembra d'essere tornati ai tempi del nazismo. Gli ultranazionalisti serbo-bosniaci vogliono sradicare i "non serbi" attraverso due strumenti: deportazione e omicidio. Vengono creati per quest'ultimo scopo tre campi di concentramento. Che ben presto diventano luoghi di uccisione di massa. Nomi tremendi: Omarska. Keraterm. Trnopolje. In quest'ultimo luogo - composto da una scuola, una casa del popolo e un prato - vengono recluse tra le quattromila e le settemila persone. È a Trnopolje, nel maggio del 1992, che è ambientata la storia raccontata da questo libro. Una storia di fantasia, ma poggiata su solide basi storiche e di testimonianza. Un libro che non è solo un romanzo ma anche un reportage di quanto accaduto troppi pochi anni fa e troppo vicino a noi, per non sapere. Prefazione di Riccardo Noury.

RECENSIONE

Raccolse il fucile da terra e s’incamminò alle spalle dei ragazzi. Lo sentiva scottare, quel fucile, fra le dita. Era un peso per la mente più che per le braccia. “Ad avere un fucile fra le mani si corre il rischio di usarlo…”, pensava.

Ho deciso di iniziare a parlarvi di Tre serbi, due musulmani, un lupo partendo da una citazione del libro che trovo emblematica per la storia dell’umanità.
Gli studi di psicologia sociale di Milgram non hanno in fondo dimostrato questo? Ossia che il meccanismo dell’obbedienza all’autorità, dell’estensione della responsabilità quando a portare avanti un atto atroce si è in molti - e quindi ci si ritiene meno responsabili singolarmente – si possa innescare con fin troppa facilità in determinate situazioni?
O ancora l’esperimento carcerario realizzato da Zimbardo all’Università di Stanford, in California. Venticinque studenti erano stati scelti random per impersonare finte guardie e finti prigionieri: un esperimento che doveva durare 15 giorni è stato in realtà interrotto dopo soli 6 giorni. Perché? L’esperimento ha dimostrato quanto sia facile indurre delle persone solitamente equilibrate a comportarsi in modo malvagio, immergendole in contesti con un’ideologia che apparentemente le legittima con regole e ruoli approvati. Le finte guardie si erano trasformate in sadici, nei finti prigionieri era intervenuto il meccanismo della deumanizzazione, spogliati ormai com’erano da ogni dignità di essere umano. Se ciò può avvenire in un contesto sperimentale controllato, è forse indice del fatto che è insita nell’essere umano questa tendenza?
Numerosi studi sembrano condurre verso questa direzione, sempre tenendo conto che si tende a svilupparla quando si è calati in situazioni che legittimano tali comportamenti.

Il libro di Luca Leone e Daniele Zanon segue la vicenda di cinque ragazzini per mettere in luce una pagina della storia poco conosciuta, ma quanto mai gravissima: nel 1992, a neanche 50 anni dalle atrocità commesse nella Seconda Guerra Mondiale da parte di tutte le nazioni coinvolte (è doveroso non concentrarsi esclusivamente sull’olocausto), in Bosnia Erzegovina un gruppo di ultra nazionalisti serbo-bosniaci ha messo in atto una vera e propria pulizia etnica nei confronti di coloro che venivano considerati non serbi, in particolare i musulmani (praticanti o meno, poco importava).
E, incredibile ma vero, sono stati costruiti tre campi di concentramento, con l’obiettivo di uccidere queste persone. Uno di essi si è trasformato in un vero e proprio campo di sterminio – mi riferisco alla miniera di Omarska. Fra i tre campi, migliaia di persone hanno perso la vita: sono state torturate, stuprate, vessate, affamate, deumanizzate e infine gettate in fosse comuni. Ancora oggi, molti dei superstiti non hanno potuto piangere sul corpo dei propri familiari, poiché non sono ancora stati ritrovati. E, come ci informano gli autori a fine libro, il numero delle vittime sarebbe stato di gran lunga maggiore se nell’agosto del 1992 il giornalista Ed Vulliamy e l’équipe televisiva britannica ITN non fossero riusciti ad avvicinarsi a uno dei campi abbastanza da riprendere le condizioni dei prigionieri, facendo poi fare alle riprese il giro del mondo. Frettolosamente, il campo di Omarska e a seguire Trnopolje e Keraterm sono stati chiusi.
Bisognerà però aspettare oltre cinque anni affinchè sia fatta giustizia. E, anche in questo caso, niente ergastolo per i padri esecutori dei campi di concentramento, nonostante i capi d’accusa pesantissimi: nel caso di Knezević, sul quale gravavano ventuno capi d’accusa per crimini contro l’umanità, diciannove per crimini di guerra e sei per violazioni della Convenzione di Ginevra per i crimini commessi nei campi, gli anni di detenzione assegnatigli furono solo 31.

Gli autori hanno narrato, fra le pagine di questo libro, di cinque ragazzini uniti da una forte amicizia: tre di loro serbi, due musulmani. Il destino di questi ultimi, quando la pulizia etnica ha avuto inizio, è stato il campo di concentramento di Trnopolje. Attraverso i punti di vista di tutti, noi lettori ci lanciamo nella missione di salvataggio intrapresa dai loro amici per salvarli ma, nel viaggio, scopriamo gli orrori che sono stati perpetrati ai danni di – non dimentichiamolo – esseri umani identici a tutti gli altri.
Perché se è vero che i protagonisti e le loro storie sono romanzate, il sottofondo e il contesto storico nel quale sono stati inseriti è brutalmente reale. Così come è sconvolgente che, all’interno del romanzo, gli autori abbiano scelto di far sorgere la consapevolezza di ciò che stava accadendo nei ragazzini, prima ancora che fra gli adulti. 

Sua madre avrebbe dovuto proteggerlo, e invece quello che sapeva ripetergli ogni volta era di lasciar perdere. Di far finta di niente. Di sopportare. Ma ora le cose erano diverse. Non poteva più bastare quella supplica al silenzio. E soprattutto non poteva più essere giustificata. Erano in ballo questioni che andavano ben al di là delle incompatibilità caratteriali dei membri di una famiglia. Qui bisognava decidere chi si era. Chi si era come famiglia e come individui. Oramai, le colpe che Zlatan attribuiva a suo padre, e dunque forse anche a sua madre per tacito consenso, andavano a specchiarsi nello scenario terribile dell’intero Paese.




Mi sento di definire questo romanzo una lettura necessaria: oltre a una prosa molto scorrevole, tra queste pagine si celano informazioni che non penso siano così diffuse nel nostro paese. Io stessa ho scoperto una pagina della storia della quale non sospettavo l’esistenza, avvalorata dalle testimonianze e dalle spiegazioni che gli autori hanno inserito a fine libro.

E se pensiamo che gli orrori della Seconda Guerra Mondiale siano molto vicini a noi, soffermiamoci anche a pensare a quanto accaduto in Bosnia Erzegovina negli anni ’90 e al fatto che le vittime dell’ennesima follia – e fasulla motivazione – basata sulla religione e sulle “razze” (termine rifiutato a livello scientifico, in quanto apparteniamo a un'unica specie) non vengono ricordate in tutto il mondo almeno una volta l’anno.

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