Recensione: Una Famiglia Quasi Normale


Titolo: Una Famiglia Quasi Normale
Titolo originale: En Helt Vanlig Familj
Autore: Mattias Edvardsson
Data di pubblicazione:16 aprile 2019
Genere: Thriller
Editore: Rizzoli


TRAMA

«Ho pensato ad Amina, la mia più cara amica. Durante tutti gli anni della nostra amicizia non ci era mai capitato di essere interessate allo stesso ragazzo. Però avevamo previsto che potesse succedere e ci eravamo promesse che nessuno ci avrebbe mai diviso. Ma stavolta era diverso, inaspettatamente strano. Era stata lei a vederlo per prima. Forse avrei dovuto farmi da parte, ma non ne ero capace. Non sapevo che le nostre vite sarebbero cambiate per sempre.» Eccola Stella Sandell, diciannove anni, disamorata di Lund e della Svezia, impegnata a progettare un lungo viaggio in Asia, abituata per noia a sedurre, capace di sarcasmo immediato verso un modello di carriera e di vita borghese che suo padre, pastore della Chiesa di Svezia, e sua madre, esperto avvocato, sognerebbero per lei. Poi una sera nel solito locale, con davanti la solita pinta di birra, un uomo entra dalla porta d’ingresso. La prima a vederlo è Amina. Ma non si pensi a una storia di gelosia e manipolazione; a un thriller, piuttosto, che incide la nostra sensibilità. Un thriller senza effetti speciali, forte di un’assonanza – per la situazione che descrive – a «Pastorale americana» di Philip Roth, anche questo con una famiglia al suo centro: un padre, una madre, la loro figlia Stella, avvinghiati in una storia gialla imprevedibile e conturbante. Strato dopo strato i personaggi del libro vengono impregnati di un’inquietudine aliena: un padre la cui vocazione religiosa manca di un mattone, una madre che orienta la realtà con geniale disinvoltura, un uomo d’affari imperscrutabile, la sua ex amante bruciata da un’ossessione, e poi Stella e Amina, inseparabili, rivelazioni di questo romanzo e di quello che la vita ci può riservare, a volte, nella sua brutalità.

RECENSIONE

Eravamo una famiglia del tutto normale, e poi è cambiato tutto.
Ci vuole tempo per costruire una vita, ma basta un secondo per demolirla. Ci vogliono anni, decenni, forse una vita intera, per diventare chi siamo veramente. Le vie sono quasi sempre tortuose, e credo ci sia un motivo, credo che la vita si costruisca per tentativi e che noi siamo il risultato delle prove che superiamo.

La mia prima riflessione in merito al thriller di cui vi parlerò oggi concerne il concetto di normalità, e nella fattispecie la normalità di una famiglia. Credete che questo termine abbia motivo di esistere? Io no.
Non credo alla normalità, né in un contesto familiare, né in qualsiasi altro ambito della vita. Credo all’unicità. Ai particolari. Alla diversità. E, in ultima istanza, al benessere.
Il motivo per il quale ho deciso di leggere questo libro è il titolo: quel “quasi”, messo lì in mezzo tra “famiglia” e “normale” ha fatto tutta la differenza.
Il mio intuito mi ha indotta a credere che avrei trovato nella storia di Mattias Edvardsson una famiglia lontanissima dal concetto di normalità, così come lo sono tutte le famiglie del mondo. Perché, vedete, l’aggettivo “normale” non ha proprio ragion d’essere. Quello che forse molti scambiano per normalità è in realtà omologazione, forzarsi a rientrare negli schemi prestabiliti dalla società in cui viviamo. E anche in quel caso, ciò avviene agli occhi degli altri: perché chiusa la porta di casa, la patina di perfezione scivola via a chiunque, statene certi.

Veniamo dunque alla famiglia in questione, i Sandell: un padre, una madre, una figlia. Ma prima ancora un uomo e una donna, Adam e Ulrika, e una ragazza adolescente, Stella.
Vivono a Lund, in Svezia: lui è un pastore della chiesa svedese, lei è un avvocato penalista. La figlia ha un solo sogno, unico obiettivo per il quale lavora giorno dopo giorno da H&M: un viaggio in Asia, tutta sola.
Agli occhi degli altri abitanti di Lund sono una famiglia modello: benestanti, affiatati, ben integrati. Ma tra le mura domestiche?


Grazie alla maestria della penna di Mattias Edvardsson entriamo nella psiche di ognuno di loro, conoscendoli sia nel momento presente che nel loro passato.
Prima ancora di essere genitori, l’autore ci fa conoscere Adam e Ulrika come giovani studenti prima e come coppia poi. Ci parla dei loro sogni, della gravidanza inaspettata, della totale incapacità di gestire la personalità di Stella, delle frustrazioni derivanti dalla ricerca di un secondo figlio che non arriva. E ci fa entrare nella mente di Stella, del suo sentirsi fuori posto, sempre in secondo piano rispetto a Amina, la sua migliore amica, osannata per la sua calma, educazione e dedizione allo studio e allo sport.

Sin dal prologo, capiamo che Adam si trova in tribunale ed è stato chiamato a testimoniare in difesa di Stella, accusata di omicidio.
Il padre, La figlia, La madre: queste le tre sezioni del libro, per ognuna delle quali è un membro diverso della famiglia a offrire il proprio punto di vista. Che, guarda caso, non coincide con quello degli altri. Di chi fidarsi? Chi è sincero? Chi mente?
Come possiamo convincerci dell’innocenza di Stella, quando i genitori per primi non sanno cosa pensare? Come possiamo soffermarci sull’incapacità di gestire la rabbia di Stella e non chiamare in causa la pretesa di perfezione che il padre le imponeva e le assenze della madre, perennemente impegnata nel lavoro?

Ci sono davvero situazioni in cui si può dichiarare senza ombra di dubbio che un’unica persona è colpevole di ciò che succede? Ciò che accade nella vita di una persona dipende dalla combinazione di tantissimi fattori.
Di chi è la colpa se la nostra famiglia è diventata così?

Una famiglia quasi normale è un dramma familiare, prima ancora che un thriller. È la storia di una famiglia imperfetta che, quando si rende conto di esserlo, è forse ormai troppo tardi. Ma è proprio in quel momento che tira fuori le unghie e cerca in tutti i modi di salvare il salvabile. Anche se questo vuol dire mentire a se stessi e mentire agli altri, la cosa più importante è rimediare agli errori passati e costruire su di essi le basi per un futuro diverso.
Ho apprezzato moltissimo questo thriller, sia per il ritmo narrativo spietato, sia per l’attenzione all’umanità dei protagonisti.

Due genitori posti davanti all’accusa di omicidio che grava sulle spalle della loro figlia: quanti avrebbero dubitato di lei? Quanti avrebbero tassativamente rifiutato l’ipotesi di colpevolezza? Quanti avrebbero mentito per salvarla? Quanti avrebbero lasciato la giustizia fare il suo corso?

Perché, vedete, l’aspetto più terribile della vicenda è il seguente: se vostro figlio venisse accusato di omicidio – che sia o meno colpevole – riuscireste a convivere col tarlo del dubbio per il resto della vostra vita?

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