Zoo di Paola Barbato


Titolo: Zoo
Autore: Paola Barbato
Data di pubblicazione: 28 maggio 2019
Genere: Thriller
Editore: Piemme
Pagine: 448



Ancora prima di aprire gli occhi, percepisci sensazioni diverse da quelle a cui sei abituata. L’odore è sconosciuto, il tuo corpo è adagiato su una superficie insolita e, se provi ad aprire gli occhi, percepisci delle linee sfuocate. Aspetta, sembrano sbarre. Quando a poco a poco l’effetto del narcotico sparisce, ti rendi conto con orrore che sei rinchiusa all’interno di una gabbia. Come ci sei finita? Cos’è successo? Nessun ricordo. Tutto ciò che conta è l’adesso, l’esatto momento in cui riacquisisci la lucidità tutta d’un colpo, grazie all’urlo bestiale di un essere umano che non lo sembra poi così tanto: è nudo, attaccato alle sbarre di una gabbia situata di fronte alla tua e ti sta fissando.

Anna, la protagonista del nuovo romanzo di Paola Barbato, vive esattamente ciò che ho appena descritto, prima di prendere coscienza di essere stata rapita e rinchiusa in una gabbia su ruote, di quelle utilizzate per tenere rinchiusi gli animali da circo.
In un capannone sperduto nel nulla, assieme a lei ci sono altri carri, altre gabbie, altri prigionieri. E questi ultimi, lì anche da molti anni, vengono identificati in base ai nomi degli animali scritti in cirillico sulle loro gabbie: il coccodrillo, le scimmie, il serpente, la tigre…e poi c’è lei, Anna, la iena.

Tutto questo lascia pensare a un piano ben congegnato nei rapimenti, effettuati proprio in base alle caratteristiche di personalità che gli individui hanno in comune con gli animali corrispondenti.
È come se l’autrice ricreasse in un ambiente ristretto e terribile un microcosmo in grado di rispecchiare la società nella quale viviamo: gli snob, gli inetti, i tossici, i deboli, i saggi, gli astuti, i brutali. Se non fosse che l’obiettivo ultimo del rapitore, quel Lui che come un burattinaio muove le fila di un gioco perverso, sembra quello di punire i suoi prigionieri, da un lato assoggettandoli a delle regole non scritte – la cui disubbidienza comporta punizioni efferate – e dall’altro facendo emergere il lato bestiale presente in ognuno di loro.
E così, ritrovandosi in uno zoo composto anche da lei stessa, Anna perde a poco a poco le caratteristiche che l’avevano resa una persona arrogante e saccente al di fuori della sua gabbia. Subisce l’inverso di un processo di antropomorfizzazione, poiché sceglie di abbandonarsi al suo lato più istintivo e animalesco pur di non arrendersi al suo carceriere.

E allora Anna pensò vaffanculo. Vaffanculo, dai, le regole, a che servono le regole? Lui ci vuole bestie. Allora allungò la mano sul mucchietto accanto a lei. Le feci erano per la maggior parte secche, facili da impugnare, ma ne doveva prendere un pezzo bello grosso, altrimenti non avrebbe retto la traiettoria, sempre che non avesse sbagliato lo spazio tra le sbarre o
MA CHI SE NE FREGA, BASTA!
Si alzò in piedi, passeggiò fino ad essere perfettamente allineata con la Petite
Quello che ti meriti, tesoro.
tirò indietro il braccio e lanciò.

Anna non è un’eroina, non è una di quelle protagoniste con cui si entra in empatia e nelle quali ci si rispecchia. Anzi, credo che la speranza di ogni lettore sia quella di essere quanto più distanti possibile dal carattere e dalle scelte discutibili che mette in atto. 
Eppure tutto questo è perfettamente in linea con il romanzo, oltre che con le opere di Paola Barbato. Qui non si cerca la perfezione, non si cerca di indorare la pillola, non si punta a entrare nel cuore delle persone. Anna è piena di difetti, risulta spesso crudele, spietata e arrogante. Ma tutto questo riesce a venire smorzato dalla vicenda in cui si trova coinvolta: da un lato può denigrare chiunque attorno a lei e sentirsi superiore, eppure è chiusa come gli altri in una gabbia, nuda e costretta a espletare i propri bisogni corporali nello stesso spazio in cui si muove ogni giorno, dovendo convivere con l’odore terribile che esalano dal pavimento in legno; dall’altro la si comprende e si fa il tifo per lei, perché proprio grazie al suo discutibile carattere non si lascia influenzare, non si assoggetta, non perde di vista l’obiettivo finale, ossia tirarsi fuori di lì o morire provandoci. 
Ed è in questo frangente che altri prigionieri, in apparenza più docili e amabili di lei, ci appaiono invece inetti e arrendevoli: si sono adeguati alla vita nello zoo, gioiscono per un avanzo in più ricevuto o per un narcotico più blando utilizzato da Lui, quando li addormenta tutti per pulirli – se non hanno disubbidito – e ruotare la disposizione dei carrozzoni.

In Zoo ho ritrovato la prosa che ho sempre amato in Paola Barbato: diretta, cruda, spietata, senza fronzoli. È un libro che si divora, che dilania dentro, che disgusta. È una storia impossibile da dimenticare, sebbene si accompagni a numerose riflessioni sulla precarietà della nostra condizione di esseri umani – e quelle sì che ci risulta scomodo tenerle a mente.

Zoo è il romanzo gemello di Io so chi sei, uscito l’anno scorso sempre per Piemme. Quest’ultimo infatti nasce come costola di Zoo e si sviluppa in contemporanea: entrambi troveranno una continuazione nel terzo romanzo della trilogia concepita dall’autrice. È bene però ricordare che possono anche essere letti separatamente e in ordine invertito, in quanto le storie si comprendono benissimo anche a sé stanti.

Ciò che vi consiglio è di non perderveli, quale che sia il modo in cui deciderete di approcciarvi a essi. E rimanerne scioccati.






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