Recensione: L'Odore delle Case degli Altri


Titolo: L'Odore delle Case degli Altri
Titolo originale: The Smell of Other People's Houses
Autore: Bonnie-Sue Hitchcock
Data di pubblicazione: 16 aprile 2019
Genere: Young Adult
Editore: Rizzoli

TRAMA

Alaska, anni Settanta. In una terra magnifica e ricca di risorse, ma difficile e spaccata da profondi contrasti sociali, le vite di quattro ragazzi stanno per incrociarsi. Ruth porta dentro di sé un segreto che non potrà nascondere per sempre; per lei l'amore è un ricordo lontanissimo ma non per questo meno vivo, e vorrebbe contare per qualcuno. Dora invece, per cui la famiglia è un fardello doloroso, vorrebbe solo essere invisibile, per poi scoprire che un dolce preparato con amore da una madre può essere il più prezioso dei regali. Alyce più di ogni altra cosa ama danzare, ma non ce la fa a deludere suo padre per inseguire i propri sogni, dividendosi tra la ballerina leggiadra che danza sulle punte e la ragazza lucida e fredda che pesca e sventra salmoni. Hank è ancora giovane ma deve prendersi cura dei suoi fratelli; con loro fugge di casa in cerca di un futuro migliore, e proprio quando tutto gli sembra perduto e inutile, torna a lottare grazie alle lacrime di una ragazza sconosciuta. Una storia di persone che cercano di salvarsi l'un l'altra e che, quando meno se l'aspettano, ci riescono.

RECENSIONE

Nel corso del tempo ho notato che le case dove c’è una mamma sanno più di buono. Se chiudo gli occhi mi sembra quasi di sentire il profumo dei fiori di campo che mia madre metteva nelle bottiglie da whiskey. La fragranza dei miei genitori, lontanissima, indugia nel mio cervello, mentre ridono e piroettano in cucina. In tutti i ricordi che ho di loro – la loro pelle, i capelli, i vestiti – c’è la nota odorosa del sangue di cervo sulle mani di mio padre. Odore di troppo amore.

Sono poche le volte in cui il titolo di un libro riesce perfettamente a sintetizzarne l’intero contenuto: questa è una di quelle volte. 

L’odore della casa di Ruth, che si è infiltrato a fondo nel suo cervello nonostante la sua famiglia si sia disgregata.
L’odore della casa di Dora, che non è veramente casa sua e vive logorata dalla speranza che possa diventarlo definitivamente.
L’odore della casa di Alyce, che non si trova sulla terraferma e sta per diventare la gabbia dalla quale non riesce a uscire.
L’odore della casa di Hank, che decide di abbandonare coi fratelli un nido che non è più in grado di crescerli serenamente.

Le vite di questi quattro ragazzi e dei loro amici si intrecciano in modi inaspettati e dolorosi, mettendo in luce quanto ogni essere umano sulla terra abbia bisogno di un posto nel quale sentirsi al sicuro. E il luogo in questione non è fisico: casa è laddove ci sono persone in grado di farti sentire protetto, compreso, ben accetto. In poche parole, te stesso.

Lo sa bene Ruth, che aveva la fortuna di due genitori amorevoli e una sorella più piccola, coi quali viveva in una casa colma di abitudini e rituali rassicuranti. E sa altrettanto bene quanto perdere tutto sia devastante, soprattutto se da un momento all’altro si viene sradicati da una famiglia che non esiste più per essere trapiantati con la forza in una casa che non ha nessuna traccia dell’odore della serenità.

Anche Dora, con un padre violento in carcere e una madre che madre non è, sa quanto siano fortunate le sue amiche Dumpling e Bunny ad avere due genitori come i loro, che l’hanno accolta in casa propria e la trattano al pari delle proprie figlie. Assorbe ogni singolo gesto, ogni singolo odore e li serba in un angolo nascosto della propria mente, lasciandosene cullare quando, di notte, i suoi incubi non la lasciano dormire.

Alyce è colei che su una barca si è sempre sentita pienamente se stessa: certo, da quando sua madre ha lasciato suo padre - e il mare - per sempre le cose sono diverse. Tuttavia le estati passate a pescare, con i piedi affogati nel sangue dei salmoni che ha imparato a eviscerare e conservare in attesa della vendita, sono quanto di più autentico abbia nella vita. Lei e suo padre comunicano così, con la loro tacita presenza sulla barca e il lavoro preciso e instancabile da portare a termine. Per questo diventa molto difficile scontrarsi con la necessità di fargli capire che un nuovo elemento è subentrato nella sua vita, un elemento che per essere vissuto appieno richiede la sua rinuncia ai mesi di pesca: la danza.

Hank è il maggiore di tre fratelli, ma dopo la morte del padre si sente meno se stesso rispetto a loro due. Jack, con la sua testa fra le nuvole e Sam, col suo incrollabile ottimismo sono in qualche modo riusciti a scendere a patti con la scomparsa di una figura paterna idealizzata, in quanto assente per la maggior parte dell’anno a causa della sua attività di pescatore. Ed è proprio per ritrovarsi e garantire ai fratelli un futuro lontano dal nuovo compagno di sua madre che Hank decide di scappare con loro, imbucandosi su una nave diretta lontano da lì, sperando in un futuro diverso.

Come riusciranno Ruth, Alyce, Dora, Hank e gli altri a trovarsi, perdersi e ritrovarsi?


Assieme all’universo di personaggi che Bonnie-Sue Hitchcock delinea in una storia di formazione che si rivela essere convincente, la vera protagonista del romanzo è l’Alaska, di cui la stessa autrice è originaria. Le descrizioni dei luoghi, della vita su un peschereccio e della mentalità degli abitanti in un contesto come quello di un paesino degli anni ’70 sono magistrali, frutto di evidenti esperienze dirette.

Ciò che tuttavia mi ha indotto a non dare un giudizio pieno è la psicologia dei protagonisti: le loro vite son ben tratteggiate, così come il cammino che intraprendono, la loro crescita e il loro legame. Eppure non hanno bucato la pagina arrivandomi dritti al cuore, forse per un aspetto psicologico non particolarmente sviscerato.

Un bel romanzo dunque, che ricorderò con piacere per la particolare ambientazione e la prosa impeccabile dell’autrice, ma non di quelli consigliati se si è in cerca di emozioni forti.


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